sabato 24 maggio 2014

Ezio Albrile : interprete profondo del medioevo ed eccelso analizzatore dal verbo elevatissimo

Conoscere Ezio Albrile, equivale ad entrare in un mondo senza tempo, dove il cammino della storia medioevale pare prendere una forma letterale della massima levatura

Leggere un suo articolo vuol dire scoprire le più alte espressioni testuali che un essere umano possa concepire, là dove il mistero ci porta in mondi infiniti dalle espressioni poliedriche...

Significa anche capire  e conoscere la severità e la signorilità storica dei simboli e dei significati religiosi e pagani, un insieme di arcane informazioni che lasciano nella nostra psiche un fascino indescrivibile

Da piccole sculture antiche, simboliche espressioni del passato in secoli bui, vuol dire conoscere un cosmo infinito difficilmente spiegabile se non con magiche rivelazioni di un' arte senza epoca, lontana e vicina allo stesso tempo

Con l' Albrile ci addentriamo in quelle culture artistiche che sanno di astrale e, allo stesso tempo, di gioiosa espressione immaginifica... insomma, un mondo di fantascienza corroborato da ricerche e riscoperte storiche magistrali

Carlo Lamberti

CENTENARIO GIORZA 1914 - 2014 Milano - Seattle, opera ALBA BAROZZI





La quadriformità di Dio
Il radicarsi del verbo cristiano trascinò con sé conseguenze cosmologiche, la croce, luogo del supplizio, fondò e ripartì l’ordine delle cose in una divina quaternità, una struttura quaternaria che il magister neoplatonico Giovanni Scoto Eriugena, il grande filosofo della cristianità medievale, captò forse da quel fantastico ed esoterico compendio di arti liberali che era il De nuptis Philologiae et Mercurii di  Marziano Capella il cui sincretismo recò al pensiero intellettuale del IX secolo le chiavi di accesso ai tesori perduti della tarda antichità; un testo epocale, troppo spesso liquidato come un centone di erudizione teurgico-neoplatonica, ma che al contrario rappresentò un prezioso mysticarum doctrinarum thesaurus impenetrabilis.
Motivo trainante del libro II di quest’opera al crocevia tra filosofia e magia, sono le ordalie cui deve sottoporsi Philologia prima dello hieros gamos con Mercurio. Tra queste c’è un misterioso rito simbolico che prevede una sorta di catarsi «erudita»: Philologia deve infatti vomitare una serie quasi infinita di libri e di volumi, stigma della liberazione dalla farragine delle scienze umane e dell’erudizione libresca. Al termine di questo singolare rito purificatorio, ella si sente talmente stremata e pallida per lo sfinimento, che non può far altro che invocare l’aiuto di Athanasia/Immortalità.
La gloriosa e splendida protettrice di tutti gli dèi e dell’universo, cioè Athanasia, prende dalla madre Apotheosi per recarla a Philologia, una globosam animatamque rotunditatem, un «oggetto rotondo, sferico e vivo», un uovo che contiene i quattro elementi della physis classica, così come enunciati nel Timeo platonico, cioè il Fuoco (exterius rutilabat, «rossastro all’esterno»), l’Aria (hac dehinc perlucida inanitate, «vuoto diafano»), l’Acqua (albidoque humore, «liquido bianchiccio»), la Terra (interiore tamen medio solidior apparebat, «appariva più consistente nel punto centrale»). Così in una stessa e unica proposizione Marziano Capella non solo trasferisce al mondo medievale la dottrina dei quattro elementi, ma si riallaccia ad una tradizione filosofico-esoterica le cui vestigia più significative si ritrovano, oltreché nelle glosse dei neoplatonici, negli scritti degli alchimisti greci e in testi orfici quali la Teogonia di Ieronimo ed Ellanico o le Rapsodie orfiche. l’Uovo non è solo un’immagine in miniatura del  kosmos bensì una animatam rotunditatem, cioè un mondo animato, vivente, una sorta di microcosmo in cui ogni singola parte corrisponde agli elementi del tutto. È l’«Uno in Tutto» sovente evocato nei papiri e nelle formule magiche: al centro troviamo la terra, mentre attorno stanno le acque celesti, che gli alchimisti greci identificano con l’Oceano cosmico, poi l’aria ed infine il fuoco celeste che avvolge il mondo in una sfera rubrescente, fiammeggiante (rutilabat).
Gli spazi del levante ligure conservano nella loro iridescente vastità infiniti tesori dell’arte romanica. Due di essi collimano con il nostro argomento: la chiesa di San Nicolò dell’Isola a Sestri Levante e quella di San Lorenzo a Portovenere.
In un panorana idillico, straniante, ma inurbato da mandrie di scolaresche e obese vacanziere teutoni, ammiriamo lo splendore di Portovenere e della chiesa di San Lorenzo, il santo graticolato. Consacrata nel 1130 da papa Innocenzo II, dell’impianto originario la chiesa conserva oggi solo frammentari elementi. Tra questi, il timpano del portale laterale sinistro è un enigmatico rilievo geometrico che ha come soggetto il quadrivium. Tre cerchi concentrici, suddivisi in quattro settori, sono attorniati da altri quattro cerchi più piccoli collocati ai punti cardinali. Una chiara indicazione della tetrapartizione del cosmo, che sulla base di precise corrispondenze cicliche si rifà al più antico simbolismo zodiacale, cioè al ricorrere del «Grande anno», il ciclo di dodicimila anni  in cui si dovrebbe compiere la cosiddetta «precessione degli equinozi». È possibile infatti suddividere il «Grande anno» in quattro parti di 3.000 anni ciascuna e trasformarlo in un immenso Zodiaco ciclico: sono le cosiddette triplicitates, la ripartizione dello Zodiaco in quattro gruppi di tre costellazioni ciascuna, rispettivamente associate ai quattro elementi di base della creazione. È la teoria delle Grandi Congiunzioni, introdotta probabilmente dagli astrologi sasanidi.
Più plastica è la figurazione proveniente da San Nicolò dell’Isola, una chiesetta romanica sopravvissuta alla barbarie barocca. Proteso fra due rade tanto incantevoli quanto propizie, il golfo del Tigullio e il golfo del Silenzio, il promontorio dell’Isola a Sestri Levante si dispone fra i «due mari», quasi un confine spirituale fra il mondo dell’anima e le carnalità maldestramente esibite sul bagnasciuga. La chiesetta ha subito diversi rimaneggiamenti a partire da quelli seguiti all’incursione veneziana e fiorentina del 1432. Forse in origine l’edificio era privo di portale in facciata. È possibile che un ingresso di tutto rilievo fosse quello a nord, sul fianco sinistro – il primo che s’incontra salendo dal borgo – dov’è stato reimpiegato nel timpano, un notevole frammento di pluteo risalente all’VIII secolo. In esso emerge l’idea di un Dio arcaico, tetramorfo. Si sa che il tetramorfismo è un tratto fondante del credo ebraico e poi cristiano. Un Dio ibrido di leone, toro, uomo e aquila, appare ad Ezechiele (Ez. 1, 14-15), qualcosa di simile vede anche l’evangelista Giovanni a Patmos; sono i quattro viventi di Apocalisse 4, 6-7, simboli degli Evangelisti. Entrambe le visioni sono l’esito di probabili esperienze enteogene entro le quali il divino è percepito in fattezze zoo-antropomorfiche, qualcosa di simile agli spiriti che guidano i viaggi estatici degli sciamani.
Ma è anche un modo per esprimere la femminiltà di Dio: così nei testi gnostici, la parte femminile del Dio inconoscibile è chiamata Barbelo, un nome legato all’ebraico barb‛ el «Dio in quattro»; un’altra ipotesi etimologica, pur partendo da un toponimo, giunge a conclusioni analoghe: essa presuppone che il nome Barbelo sia composto dalla preposizione semitica b + il nome di luogo (= Arbela), relativo alla dea Ištar e al culto tributatogli nella città di Arbela. Secondo alcuni infatti, il nome Arbela potrebbe derivare dall’accadico ’arba ’ilu, i «quattro dèi».
Nell’insegnamento di Mani, il fondatore della «religione della luce» la religione gnostica iranica, Dio possiede simultaneamente quattro volti. Una formula di abiura in greco (PG 1, 1401) descrive il Dio manicheo nelle fattezze del «quadriforme Padre della Grandezza» (ton tetraprosōpon patera tou megethous). Questa concezione dell’essere supremo come divinità quadriforme è intimamente legata all’idea iranica dell’infinità di Dio manifestata attraverso il Tempo (Zurwān), la Luce (rōšn), la Forza (zōr) e la Bontà (wehīh). Il Tempo Zurwān (< avestico Zrvan) è una delle figure concettuali e divine più rilevanti della religiosità iranica, frammenti di una sua mitologia affiorano sin dai testi più antichi, logica conseguenza dell’incontro tra zoroastrismo e cultura babilonese. Nell’idea zurvanita del «Grande Anno» si ritrova infatti il legame con il ciclo zodiacale stabilito nel tempo limitato di 12.000 anni (suddiviso in quattro periodi di 3.000 anni), le triplicitates di cui s’è parlato.
Affine è la cosmicizzazione dello spazio figurata in Brahmā, primo elemento con Visnu e Śiva, della triade suprema (Trimurti) secondo la religiosità induista. Brahmā manifesta i mondi (sanscrito loka) racchiusi nell’universo, contemplandoli con il suo ottuplice sguardo, orientato secondo i punti cardinali; li «irrradia» con i suoi quattro volti, assiso al centro su di un fiore di loto che è sia il tuorlo dell’Uovo cosmico, sial’ombelico di ciascun mondo. Ad una medesima area di influenza indo-iranica si ha la rappresentazione di Svantevit, divinità suprema degli Slavi, così come raccontato da Saxo Grammatico: la sua statua quadricefala  con la barba e le chiome rasate, era custodita nel tempio ligneo al centro di Arkona  sull’isola di Rügen ( Mecklenburg- Pomerania occidentale).
Non è difficile scorgere in queste rappresentazioni la parcellizzazione dello spazio astrale nei suoi elementi cardinali, secondo un modello tipicamente iranico. Nella più antica cosmografia zoroastriana, i Dodici Segni dello Zodiaco e le altre stelle e costellazioni sono schierati per contrastare l’attacco demonico dei Pianeti. Quattro astri custodiscono i quadranti della volta celeste agli ordini della Stella Polare (Bundahišn 5, 4), secondo questo schema:
Nord = Haftōring (Ursa Major)
Est = Tištar (a Canis majoris, Sirio)
Centro del cielo = Mēx ī Gāh (Polaris)
Sud = Sadwēs (α Piscis Austrini, Fomalhaut)
Ovest = Wanand (Vega)
Invisibili lacci legano le sette terre, i sette kišwar in cui è suddiviso il mondo, alle stelle dell’Orsa maggiore, a Nord (Bundahišn 2, 7), lì dove si trova il foro, il passaggio attraverso il quale Ahriman è penetrato nella creazione, contaminandola. Questo salto dimensionale si è compiuto agli albori del settimo millennio, il millennio in cui si è concretizzato l’abominevolegumēzišn, il «miscuglio» fra tenebra e luce. La funzione di Haftōring è quella di contrastare l’attacco ahrimanico, regolando il moto delle 12 stazioni zodiacali (Mēnōg ī xrad 49, 15-21) e trattenendo sulla soglia dell’inferno le 99.999 creazioni diaboliche con l’aiuto di un egual numero di Frawahrān (< avestico Fravaši), le angeliche custodi dell’umanità. L’azione è rivolta contro il pianeta Giove (= Ohrmazd; Bundahišn 5, 4); oppure contro il pianeta Marte (= Wahrām), come leggiamo nelŠkand-gumānīg Wizār (4, 32-33).
Nel timpano di San Nicolò a Sestri Levante, le croci cristiane sembrano effigiare motivi astrali, quali astri cristologici posti a difesa dell’ecumene stellare. La terra celeste è divisa in quattro regni, riflesso di una scomposizione avvenuta in un tempo anteriore. Iranismi noti al mondo medievale, se pensiamo ad esempio al Liber Aristotilis, un compendio astrologico composto da Ugo di Santalla nel XII secolo. Nel testo è raccolto un testo cosmologico in pahlavi (la lingua dei testi zoroastriani) tradotto in arabo da Māšā’Allāh (Bassora 740-815 ca.); esso non solo conserva il lessico iranico nei nomi di alcune stelle, ma ne precisa l’identità astronomica. La stella Sanduol di cui leggiamo nel libro III è la resa latina di un’imprecisa trascrizione araba del pahlavi Sadwēs, a sua volta derivato dall’avestico Satavaēsa- (< medo *Satavaisa-) cioè α Piscis Austrini = Fomalhaut, l’astro posto a tutela del quadrante Sud del cosmogramma zoroastriano.
Nella singolare figurazione di San Nicolò dell’Isola e di altre analoghe tratte dall’arte romanica rivive l’arcana guerra astrale fra Costellazioni (ahuriche) e Pianeti (ahrimanici). A Nord, presso Haftōring (Ursa Major), si trova l’Inferno, l’orifizio attraverso cui le armate di Ahriman sono dilagate nel nostro mondo. Si tratta di un immagine efficace per spiegare le origini del male e localizzare le soglie degli inferi.
Una metafora perfezionata nel cristianesimo secondo i parametri dell’immortalità astrale: lo Zodiaco è la via percorsa dalle Anime e i quattro angeli del mondo (Michele, Rafaele, Gabriele, Uriele) ne vegliano la traslazione in Dio. L’anima, soffio impalpabile, si muove nel cosmo sospinta dai venti: il vento delle anime serrate nell’avvicendarsi delle morti e delle nascite, e il vento della salvezza. La tetramorfia angelica esprime in ambito cristiano una medesima cosmicizzazione dello spazio: la terra astrale è nelle concezioni iraniche una delle tappe nel conseguimento del Paradiso luminoso. Presso l’Orsa Maggiore sta l’inganno infero e le Costellazioni proteggono le quattro regioni dal tracimare di tale nefanda forza. Si riproducono quindi nella volta celeste i territori frequentati dall’anima nell’aldilà. Nei manufatti romanici di San Nicolò e di San Lorenzo rivivono quindi queste fascinazioni levantine, oggi smarrite in un territorio tracimante bellezze d’arte e un popolo satollo di tette e culi. Un dilemma tutto italiano che oggi sembra felicemente risolto da una politica culturale fatta di suadenti parole e celebrazioni del nulla.


MILANO : via Paolo Giorza, Marcel Proust e Maria Cristina Fiaschi (poesia) (testo di Carlo Lamberti )

Ero andato  a curiosare in via Paolo Giorza, a Milano, per vedere se trovavo qualche spunto che mi fornisse illuminazioni circa un articolo che avrei voluto scrivere sul compositore omonimo, autore della "Bella Gigogin"...
Fu lì che incontrai il mio vecchio amico Gianni, ammiratore e ricercatore di edizioni rare di libri su Marcel Proust
Proprio lui, mi fece vedere un volume di poesie della poetessa Maria Cristina Fiaschi che aveva appena comprato il giorno precedente su consiglio del libraio di sua fiducia
Me lo mostrò, facendomi osservare che l' ultima poesia dal titolo "Il sogno ritrovato" era stata la molla che lo aveva indotto all' acquisto avendo un' assonanza con "Il tempo ritrovato" del grande autore francese
Quindi, meritava  un posto nelle sua biblioteca di casa, come un simpatico volume da rileggersi ogni qualvolta avesse avuto il desiderio di interpretare gli umori e considerazioni sulla vita di quella poetessa piacentina
Era un libro in cui l' autrice descriveva il passaggio dal buio della notte allo spuntare del sole luminoso e pieno di speranza in un' alba che aveva sconfitto le tenebre...
"Ma guarda - esclamai, anch' io ho letto quel libro dal titolo "Cosa sanno le stelle" e, mi è talmente piaciuto al punto di leggere e riguardare sovente qualche poesia in esso contenute , come " Grida il mio nome"
" Bravo- anche quella mi è piaciuta moltissimo ! - E' una brava ed ispirata poetessa ! " Mi piacerebbe poterla incontrare per complimentarmi sulla sua opera poetica !"

Carlo Lamberti






domenica 11 maggio 2014

Liszt, R. Strauss e Mahler (tre modernità sonore)

Ci sono, a parer mio, colpi di genio musicale nel campo sinfonico internazionale, che, andando oltre il proprio momento, si inseriscono nell' universalità delle composizioni trascendenti, quasi odierne e moderne colonne sonore :

Franz Liszt

Les Preludes, poema sinfonico n.3

Richard Strauss :

così parlò Zaratustra ( Primo pezzo)

Gustav Mahler :

Sinfonia n. 1 " Il Titano" (IV movimento)

Carlo lamberti






Un giovane e valente compositore da Genova a Roma sviluppa la sacralità del maestro Puccini : Fabrizio Callai

Proprio in quella chiesa di S. Andrea della Valle, dove si ambientò Tosca, la genialità di un giovane talento compositivo genovese, nella musicalità del maestro Fabrizio Callai, si rinnova la memoria di Giacomo Puccini

Partendo dall' incipit della Manon Lescaut, il maestro Callai, trasforma le note successive in una meravigliosa versione di un Requiem che rimarrà nella storia pucciniana per la sublime e maestosa bellezza vincendo il secondo premio nel concorso Papa Benedetto XVI di musica sacra 2014


Carlo Lamberti